COMMENTO
Gesù
mette in guardia la folla e i discepoli dal comportamento degli
scribi e dei farisei, considerati guide spirituali autorevoli del
giudaismo. Egli riconosce loro di essere fedeli interpreti della
legge mosaica, ma critica aspramente la loro incoerenza, il loro
legalismo oppressivo, l’esibizionismo, la vanità, lo spirito di
dominio. Essi agivano per essere ammirati. Manifestavano tale
desiderio mediante alcuni gesti esteriori, atti ad impressionare.
Così allargavano i filatteri. Si trattava di piccoli astucci
contenenti alcuni testi della S. Scrittura. Con tale uso si
ricordava la prescrizione di Dt 6,8: “Questi precetti… te li
legherai alla mano come un segno”. Anche per vanagloria allungavano
le frange, che venivano attaccate ai quattro capi delle veste, per
ricordare anch’esse i comandamenti di Dio (cf. Nm 15,37-41).
Desideravano essere chiamati rabbì, che significa "maestro mio",
titolo onorifico che abitualmente veniva dato ai dottori della
legge.
In contrapposizione a tali atteggiamenti Gesù dà alla folla e ai
discepoli tre ammonimenti: non farsi chiamare “rabbi”; non chiamare
nessuno “padre” sulla terra; non farsi chiamare “maestri”. Tutti
infatti siamo fratelli, perché figli dell’unico Padre che è nei
cieli; tutti siamo discepoli dell’unico maestro che è Cristo. Questi
ammonimenti di Gesù evidenziano la fratellanza; ma non intendono
negare l’esistenza dell’autorità nella Chiesa, dall’evangelista
Matteo già altrove sottolineata (cf Mt 16,18-19;18,18). Essi
vogliono piuttosto precisare che l’autorità nella Chiesa è posta
sotto la signoria di Cristo ed è un servizio; servizio da esercitare
sul modello del servo per eccellenza che è Gesù (Mt 20,26-28). |