
Il brano del Vangelo odierno è di difficile comprensione.
Per poterne cogliere adeguatamente il senso, riteniamo
opportuno fare due premesse.
Il
discorso sugli avvenimenti ultimi della storia,
(escatologia), ha un posto rilevante nella Bibbia. Essi
sono descritti con un genere letterario particolare che fa
leva su catastrofi e disgrazie immani, le quali non sono da
considerarsi eventi futuri, ma piuttosto come scenario,
clima che mira a sottolineare l’attesa dell’intervento
decisivo di Dio.
Il discorso di Gesù sugli avvenimenti ultimi della storia è
riportato dai tre evangelisti: Matteo, Marco e Luca, ma con
una differenza. In Matteo e Marco la fine del mondo è vista
in connessione con la distruzione del tempio e di
Gerusalemme (cf.Mt 24,5-44; Mc 13,1- 27). Luca invece scrive
il suo Vangelo dopo il 70 d.C, quando cioè la distruzione di
Gerusalemme e del tempio è evento realizzato. Egli quindi
distingue: l’evento contemporaneo, la distruzione del tempio
e di Gerusalemme ( e qui la profezia di Gesù è riletta dopo
la sua realizzazione), e l’evento concernente la fine del
mondo con l’apparizione del Figlio dell’uomo, cioè di Gesù.
In Luca, poi, la fine del mondo non è vista vicina come nel
Vangelo di Marco. Pertanto anche i segni del suo preannunzio
hanno connotazioni diverse da quelle presentate da Marco.
Queste differenze si spiegano alla luce delle finalità
proprie di ciascun evangelista; esse non toccano la sostanza
del messaggio di Gesù.
Tenendo in conto tali premesse, vogliamo offrire qualche
riflessione sul brano evangelico odierno.
Il tempio a cui Gesù fa riferimento era ritenuto una delle
sette meraviglie del mondo. Tra gli israeliti era comune il
proverbio che affermava: “Chi non ha visto Gerusalemme in
tutto il suo splendore, non ha visto nulla di bello nella
vita. Chi non ha visto il Santuario nella sontuosità dei
suoi addobbi, non sa cosa sia il fascino di una città”. Ma è
da ricordare che per gli ebrei il tempio era il punto di
riferimento per la loro vita e per quella dell’umanità
intera. Ad esso infatti erano connesse la legge di Dio, le
sante prescrizioni del culto. Con la sua distruzione si
relazionava la stessa fine dell’universo.
Pertanto l’annunzio di Gesù circa la sua distruzione desta
grande sorpresa nell’animo degli ascoltatori. Da qui la loro
domanda:“Maestro, quando accadrà questo e quale sarà il
segno che ciò sta per compiersi?”.
Gesù non risponde alla domanda, ma fa alcuni avvertimenti
significativi, concentrando l’attenzione sul presente. Egli
mette innanzitutto in guardia dai falsi messia, da coloro
che vengono dichiarandosi mandati da Dio, salvatori. Gli
atti degli Apostoli ne menzioneranno due: un certo Teuda (At
5,36) e Giuda il galileo (At 5,37).
Gesù presenta, poi, un quadro di avvenimenti bellici (vv
9-10) e tellurici (v.11). Essi sono segni premonitori dello
scandalo della morte di Gesù sulla croce e del suo rifiuto.
Sono allo stesso tempo segni premonitori della fine del
mondo.
In questo contesto Gesù avverte i suoi discepoli che saranno
perseguitati; ma ricorda che Egli sarà sempre con loro: nei
tribunali suggerirà loro le parole opportune per la loro
difesa. Essi parleranno con la forza e la potenza che viene
dallo Spirito Santo (cf. Lc 12,12). Il loro martirio sarà
più eloquente della loro predicazione. Le persecuzioni si
trasformeranno in occasione di testimonianza.
Questi avvertimenti invitano il discepolo a rimanere fermo,
ancorato alle parole di Gesù. Indicano il modo come occorre
vivere l’attesa escatologica. Essa non deve distogliere
dagli impegni nel mondo: bisogna viverla nel presente della
storia con perseveranza. L’attesa è tempo della
perseveranza. Si attende la venuta del Signore testimoniando
e perseverando nella fedeltà al Signore.


Il discorso di Gesù vuole
incoraggiarci più che intimorirci. Esso è rassicurante: ci
ricorda che nel nostro cammino non siamo soli. Egli cammina
con noi. Il cristiano, quindi, vive sereno e fiducioso anche
in mezzo a tutte le difficoltà che dovrà affrontare per
essere fedele al Signore.