7 settembre 2008

dal Vangelo secondo Matteo (18,15-20)
 


«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.
In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

 


Nel brano del Vangelo odierno Gesù ci parla della correzione fraterna in seno alla comunità ecclesiale. Il cristiano può peccare. Il peccato è sempre presente nella Chiesa, perché essa è formata da uomini e da donne che hanno limiti e debolezze. Il peccato mette in pericolo la coesione interna della Chiesa, la sua santità. La comunità ecclesiale non può restare indifferente nei confronti del fratello che pecca; è chiamata ad impegnarsi a condurlo sulla retta strada. Per guadagnarlo si danno tre modi di agire, che costituiscono la cosiddetta “regola disciplinare”. Si discute tra gli esegeti se essa assuma un carattere giuridico - disciplinare sotto forma di un vero processo, o piuttosto quello di un procedimento di ordine pastorale, che mira - tramite uno stile di dialogo fraterno - a ricuperare il fratello peccatore. Questa seconda interpretazione risponde meglio alla visuale che Matteo ha della Chiesa: essa è la comunità mista, dove coesistono buoni e cattivi; solo alla fine sarà fatta la separazione tra loro ( cf. Mt 13,37-41; 13, 48-49).
Vanno messi in risalto i tre tentativi volti a correggere il peccatore; ciò al fine di comprendere meglio la natura e la finalità della correzione fraterna.
Il primo tentativo consiste in un’ammonizione individuale; vuole far sentire al fratello peccatore la solidarietà sofferta degli altri fratelli; mira a riacquistarlo in seno alla comunità. Non si tratta di umiliarlo, ma di conquistarlo all’affetto della comunità. Il secondo prevede la presenza di una o due persone, “perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni” (v.16). Si tratta di una procedura già presente nella legge mosaica (cf. Dt 19,15) per i dibattimenti giudiziari. Però, qui, nella chiamata dei testimoni è da vedersi un tentativo ampliato di pacificazione con la comunità. Qualora questa seconda istanza risultasse inefficace, il caso è sottoposto all’assemblea, cioè alla comunità ecclesiale. Il fallimento di questo ultimo tentativo comporta che il fratello peccatore è da ritenersi “un pagano e un pubblicano”.
I pagani erano considerati degli estranei alla comunità ecclesiale.
La decisione presa dall’assemblea nei confronti del peccatore è la notificazione della situazione venutasi a creare a seguito della rottura della fraternità da parte del peccatore: egli si separa dalla comunità.
La frase “tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo” vuole giustificare il potere che ha la comunità di dare un giudizio di appartenenza o di distacco dalla vita di grazia della comunità. Queste parole che furono rivolte precedentemente a Pietro (cf. Mt 16,19) non significano che il potere dato a Pietro viene meno. Quello conferito alla comunità ecclesiale nei riguardi del fratello peccatore è da vedersi in sintonia con il potere di Pietro. Questi è la “pietra” su cui poggia la Chiesa.
Nel brano evangelico odierno si coglie una Chiesa vista come una comunità di fede e di amore; come comunione fraterna, in cui ognuno dei suoi membri è corresponsabile del bene di tutti; una Chiesa in cui Cristo è presente. In merito sono dense di contenuto teologico - spirituale le parole di Gesù: “…dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (v. 20). La comunità è disgregata dal peccato. Unita, invece, nel nome di Cristo, nell’amore reciproco, nella preghiera comune, diventa onnipotente presso Dio. Due o tre è il numero più piccolo per costituire una comunità. Gesù non pensa in termini trionfalistici. Quello che importa è essere riuniti nel “nome di Cristo”. Allora “qualunque cosa domanderete al Padre mio che è nei cieli ve la concederà”
 


La correzione fraterna è espressione della nostra solidarietà e corresponsabilità nei confronti dei fratelli. Il peccato del nostro fratello deve essere sentito come proprio: sfigura il volto della stessa Chiesa e non la rende attraente dinnanzi a coloro che vivono fuori di essa.
La correzione è, quindi, indispensabile per il bene del fratello e della comunità ecclesiale. Di grande importanza è l’atteggiamento con cui essa deve essere fatta: non deve tendere ad umiliare, ma a portare il proprio fratello a ravvedersi ed a reinserirlo nella comunità ecclesiale. L’atteggiamento necessario è quello dell’amore. Soltanto così essa potrà essere efficace.
A proposito della correzione fraterna vanno ricordate le eloquenti parole di S. Giacomo: “Fratelli miei, se uno di voi si allontana dalla verità e un altro ve lo riconduce, costui sappia che chi riconduce un peccatore dalla sua via di errore,salverà la sua vita dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati” (Gc 5,19-20). S. Paolo nella lettera ai Romani ci indica il modo per superare ogni possibile conflitto: “Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello dell’amore vicendevole: perché chi ama il suo prossimo ha adempiuto la legge” (Rm 13,8).
Ma non si può parlare di correzione fraterna senza evidenziare anche l’importanza dell’atteggiamento di umiltà che occorre avere nel riceverla. E’ indicativa al riguardo l’esortazione data da S. Francesco d’Assisi: Beato il servo che è disposto a sopportare così pazientemente da un altro la correzione, l’accusa e il rimprovero, come se li facesse da se. Beato il servo che, rimproverato, di buon animo accetta, si sottomette con modestia, umilmente confessa e volentieri ripara.

 

 

 


O Padre, che ascolti quanti si accordano
nel chiederti qualunque cosa nel nome del tuo Figlio,
donaci un cuore e uno spirito nuovo,
perché ci rendiamo sensibili
alla sorte di ogni fratello
secondo il comandamento dell’amore,
compendio di tutta la legge.