10 maggio 2009

Dal Vangelo secondo Giovanni (15,1-8)

La parabola della vite - Museo di Sibiel (Romania)In quel tempo, Gesù disse: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l'agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
 


Gesù nel parlare del suo rapporto con i suoi discepoli si serve di immagini che Dio adopera nell’Antico Testamento per descrivere la sua relazione di amore con il suo popolo prediletto, il popolo di Israele. Gesù le utilizza, ma in un modo essenzialmente nuovo. Nel Vangelo della domenica scorsa Egli si proclama pastore, ma si definisce il buon pastore, che conosce le sue pecore ed offre la sua vita per loro. Nel brano evangelico odierno paragona se stesso alla vite, il Padre al vignaiolo e i discepoli ai tralci. Il tema della vigna e della vite è utilizzato nell’Antico Testamento. In merito ricordiamo che esso assume alle volte carattere drammatico. Le immagini della vigna, delle vite sono segno dell’amore di Dio, delle sue premure, ma allo stesso tempo sono segno dell’infedeltà del popolo. Basta leggere il cantico della vigna in Isaia ( Is 5,1-7) per rendersene conto. E’ Dio che si aspetta che la vigna produca uva, ma essa fa uva selvatica. Lo stesso dramma è descritto da Geremia: “Ti avevo piantato come vigna scelta, tutta di vitigni genuini; ora come mai ti sei mutata in tralci degeneri?” ( Ger 2,21). Nel profeta Ezechiele Israele viene descritto come vite sterile e senza frutti (Ez 15,1-6).
Gesù definendosi vite si inserisce nel contesto del simbolismo della vigna e della vite dell’Antico Testamento, ma ad esso da un significato del tutto nuovo. Infatti in nessun testo dell’antico Testamento viene dato rilievo alla vite come fonte di vita per i tralci. Gesù è vite dalla quale promana un flusso vitale. La novità diventa più perspicua se si considera che Gesù mette l’accento sul rimanere innestati in lui. Per ben cinque volte parla della necessità di rimanere in lui. A questo rimanere in lui fa riscontro la situazione negativa del “chi non rimane in lui”. Il rimanere in lui non è un mero rapporto di amicizia; è principalmente una fusione, che nasce dal sentirsi coinvolti in lui. Come tra la vite e il tralcio circola lo stesso flusso vitale, cosi tra lui e i suoi discepoli. Proprio per questo il rimanere è a senso reciproco: i discepoli rimangono in Gesù e Gesù rimane in loro. Tra lui e i discepoli c’è un unico rapporto personale, un rapporto di comunione. Se essi rimangono in lui per mezzo della fede, Gesù rimane in loro attraverso l’amore e la fecondità. Coloro che restano uniti a lui come il tralcio alla vite appartengono alla vigna del Padre. Quelli che rimangono in lui e soltanto essi portano frutto.
Ma la drammaticità del rapporto tra Dio e il suo popolo descritta nell’Antico Testamento tramite la vigna rifiutata, devastata, mediante il tronco delle vite inaridito e quindi divorato dal fuoco, si riscontra nel destino dei tralci gettati via, i quali si seccano, e poi sono raccolti e gettati nel fuoco e bruciati. Pertanto un tralcio che non porta frutto è un tralcio morto, destinato ad essere bruciato nel fuoco. Nei Vangeli sinottici troviamo punti di paragone (cf. Mt 25,41; Mc 9,43). Significativo è quanto si legge in Mc 3,10: “Ogni albero che non produce frutti buoni è tagliato e buttato nel fuoco”. La verità dell’unione con Gesù si riconosce dalla sua fecondità.
Un’idea da sottolineare è che coloro che credono in Gesù sono incessantemente mondati. Il suo messaggio è fonte di continue crescenti purificazioni,è sorgente permanente della vitalità cristiana.
E’ interessante evidenziare che il Padre è glorificato allorché i discepoli di Gesù portano frutto. “In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli”.

 


Nel brano del Vangelo è espressa in un modo incisivo ed eloquente la totale nostra dipendenza da Gesù. L’immagine del rimanere in Lui indica un rapporto di fede e di amore, rapporto che è fecondo: “Chi rimane in me e io in lui, porta molto frutto”.Il simbolismo del portare o non portare frutti non va inteso anzitutto in termini di opere buone da compiere o di un modo virtuoso di vivere. L’accento è messo sulla fedeltà alle esigenze della fede, del credere in Gesù, nella sua Parola. Gesù sottolinea che la sua parola, l’intero suo insegnamento deve rimanere nel discepolo come parte essenziale della sua esistenza. Il messaggio deve essere posseduto; si deve fare esperienza di vita, anche se alle volte dolorosa. Rimanere in Gesù significa vivere una vita in armonia con la sua Parola, con tutto il suo insegnamento. L’affermazione di Gesù diventa comprensibile alla luce di quanto S. Giovanni scrive nella prima lettera: “Se rimane in voi quel che avete udito da principio, anche voi rimarrete nel Figlio e nel Padre” (1 Gv 2.24).
La serietà e drammaticità dell’invito di Gesù alla fedeltà totale, incrollabile alla sua persona e al suo messaggio è messa in evidenza nell’immagine della diversa sorte riservata ai tralci. Quelli secchi sono gettati nel fuoco. Un tralcio che non porta frutto è tralcio morto. Da qui si comprende l’esigenza dell’unione con Gesù.

PREGHIERA
O Dio, che ci hai inseriti in Cristo come tralci nella vera vite, donaci il tuo Spirito, perché amandoci gli uni agli altri di sincero amore, diventiamo primizie di umanità nuova e portiamo frutti di santità e di pace.