2 ottobre

XXVII Domenica del tempo ordinario

 

dal Vangelo secondo Matteo (21,33-43)

 

        

 
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
«Ascoltate un'altra parabola: c'era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.
Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto per mio figlio!. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: Costui è l'erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d'angolo;questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi?
Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».
 
   
 

La parabola del Vangelo odierno descrive l’aspra polemica di Gesù contro i farisei ed i capi del popolo. Per comprenderla è opportuno premettere qualche breve notizia sul ruolo della simbologia della vigna nella tradizione biblica. La vigna rappresenta il popolo di Israele, scelto da Dio tra tutti i popoli come sua proprietà ( Es 19,5) non perché è il più numeroso o forte, anzi è il più piccolo fra tutti i popoli (cf Dt 7,7); scelto perché amato da Dio con particolare attenzione, chiamato per portare frutto. Il vino, frutto della vigna, è simbolo di gioia, di festa, di amore; é sempre presente nelle celebrazioni matrimoniali. (Si pensi al miracolo di Cana: Gv 2). Esprime la felicità promessa da Dio a coloro che gli sono fedeli. E’ simbolo dei tempi messianici.
La parabola che ci viene proposta dalla liturgia odierna è l’allegoria della storia dei rapporti tra Dio ed Israele. Le immagini adoperate: piantare la vigna, circondarla con una siepe, scavarvi un frantoio, costruirvi una torre indicano l’interesse, la cura personale di Dio nei riguardi di questo popolo. La parabola è la denuncia dell’infedeltà storica di Israele; ma in essa si può leggere anche la drammaticità della storia della salvezza. La vicenda è racchiusa in due quadri. Nel primo primeggiano i vignaioli, nel secondo il padrone. I servi che i vignaioli uccidono rappresentano i profeti, i quali, mandati da Dio,non trovano il debito ascolto. L’invio del figlio costituisce la tappa decisiva, ultima. Il padrone, mandando il proprio figlio, l’unico che ha diritto all’eredità, dà l’estrema prova del suo affetto verso la vigna. Ma la reazione è drammatica. I vignaioli prendono il figlio, lo cacciano fuori della vigna e lo uccidono.
Il figlio rappresenta Gesù, il quale tramite la parabola profetizza il dramma della sua imminente morte. Ma Gesù è interessato a coinvolgere i suoi ascoltatori nel dramma. Da qui la domanda: “Quando verrà il padrone della vigna che farà dei vignaioli?”.
Con tale interrogativo e con la relativa risposta Gesù introduce il tema del giudizio che si attua in due fasi: la condanna dei vignaioli ed il trasferimento della vigna ad altri vignaioli che porteranno frutti. Egli evidenzia che la vigna non è distrutta, rimane salva; i coloni omicidi vengono fatti perire, al loro posto vengono altri operai che la faranno fruttificare. La storia della salvezza, cioè la storia dell’amore di Dio, non poteva finire; essa continua. La morte del figlio invece di costituire la fine della sua opera, apre la via al suo trionfo. Gesù ucciso diventa la pietra angolare dell’edificio. L’immagine della vigna è sostituita da quella dell’edificio (la Chiesa), al cui fondamento sta Cristo: Egli è il principio, il fondamento della Chiesa. La prospettiva cristologica si apre e si sviluppa in quella ecclesiologica. I nuovi vignaioli sono assimilati ad un popolo, il quale è contrapposto al primo, l’infedele; ma non si identifica con i soli pagani convertiti. Esso infatti è l’intero popolo messianico, composto da ebrei e pagani, fondato sulla pietra angolare che è Cristo morto e risorto.
Nella parabola è messa in evidenza la necessità di portare frutti. L’idea è sottolineata in modo specifico nei vv.41 e 43. Si tratta di un argomento caro all’evangelista Matteo. Il segno distintivo del popolo messianico è la fedeltà nell’amore attivo verso Dio. Essere membri del popolo messianico impegna ad una vita feconda di frutti di fedeltà a Dio. È la fedeltà fruttuosa che si realizza, si gioca nella quotidianità, nel luogo dove si vive. Il giudizio finale sarà fatto in base ai frutti dell’amore fedele.
Nella parabola emerge perspicuo un altro concetto: l’amore premuroso di Dio segna la storia dell’uomo; quindi anche la storia di ciascuno di noi. Anche per noi oggi risuona l’affettuoso, premuroso interrogativo di Dio: “ Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto?” (Is 5,4 prima lettura). Vogliamo ricordare le eloquenti parole di S. Agostino:
"Egli coltiva noi come l’agricoltore coltiva il campo. Per il fatto dunque che Egli ci coltiva, ci rende migliori - poiché anche l’agricoltore rende migliore il campo coltivandolo - e cerca in noi il frutto. La sua opera di coltivatore nei nostri riguardi consiste nel fatto che non cessa d’estirpare con la sua Parola dal nostro cuore i germi del male, di aprire il nostro cuore, per così dire con l’aratro della Parola, di piantarvi i semi dei precetti e d’aspettare il frutto della fede […]. Il nostro frutto, però, non renderà Lui più ricco, ma renderà noi più felici”. (S.Agostino, Discorso 87, 1,1).
La parabola ci richiama a considerare la gioiosa verità che Gesù è la vite e noi siamo i tralci innestati in Lui: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui fa moto frutto” (Gv 15,5).

 

Hai sradicato una vite dall’Egitto,
hai scacciato le genti e l’hai trapiantata.
Ha esteso i suoi tralci fino al mare,
arrivavano al fiume i suoi germogli.
(dal Salmo 79)

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