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La
parabola degli invitati a nozze sviluppa l’argomento teologico
affrontato nelle due parabole precedenti: quella dei due figli
(Mt 21,28-32) e quella dei vignaioli omicidi (Mt 21,34-45).
Anche nella presente parabola ritorna la polemica di Gesù con i
principi dei sacerdoti, con i capi qualificati del giudaismo.
I destinatari della parabola sono gli stessi delle due parabole
precedenti.
Il contesto è quello del banchetto nuziale. Lo sposo è lo stesso
erede, il figlio del re. Nella tradizione biblica il convito è
simbolo delle nozze messianiche, della gioia, della felicità
eterna.
La parabola è caratterizzata dall’atteggiamento di un re
desideroso di avere partecipanti al banchetto per il suo figlio,
di un re pieno di benevolenza che ha predisposto tutto per un
banchetto gioioso. Al suo invito si dà una varietà di risposte.
I primi chiamati rifiutano. Il reiterato invito fa menzione
della bellezza del pranzo. Ma gli invitati non accettano;
manifestano la causa del rifiuto: disinteresse, indifferenza;
addirittura arrivano all’uccisione dei servi che comunicano loro
l’invito. Nei pressanti inviti del re e nella negligenza degli
invitati è descritta la drammatica storia del popolo eletto che
si chiude a Cristo. E’ Dio il re e Gesù è il suo figlio.
Nella parabola emerge la chiamata universale alla salvezza. I
servi vengono inviati ai crocicchi delle strade per rivolgere
l’invito a tutti. Il rifiuto dei giudei non fa cessare l’amore
salvifico di Dio. Dio non cessa di invitare. Tutti sono chiamati
alle nozze. Il banchetto è l’immagine del regno messianico; la
veste nuziale simboleggia le disposizioni per entrarvi e
rimanervi.
Il messaggio che viene offerto dalla parabola è che la salvezza
è un dono per tutti, ma un dono che va fatto fruttificare.
L’essere entrati nella sala di nozze non è ancora garanzia di
salvezza. Occorre indossare e mantenere l'abito nuziale, simbolo
della nostra costante fedeltà e dedizione al Signore.
Non basta essere “invitati” per essere dei “salvati”. Sono
quanto mai significative le parole di S. Girolamo:
La veste nuziale sono i precetti del Signore e le opere che si
compiono nello spirito della Legge e del Vangelo. Essi sono
l’abito dell’uomo nuovo. Se qualcuno che porta il nome di
cristiano, nel momento del giudizio sarà trovato senza l’abito
di nozze, cioè l’abito dell’uomo celeste, e indosserà invece
l’abito macchiato, ossia l’abito dell’uomo vecchio, costui sarà
immediatamente ripreso e gli verrà detto: «Amico, come sei
entrato?». Lo chiama amico perché è uno degli invitati alle
nozze, e rimprovera la sua sfrontatezza perché col suo abito
immondo ha contaminato la purezza delle nozze... In quel momento
infatti non sarà più possibile pentirsi, né sarà possibile
negare la colpa, in quanto gli angeli e il mondo stesso saranno
testimoni del nostro peccato. |