19 febbraio 2012

IV Domenica di Pasqua
(Anno B)

Vangelo secondo Giovanni (10,11-18)

Il buon pastore dà la propria vita per le pecore

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario che non è pastore e al quale le pecore non appartengono vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. 
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
 
 

Nell’Antico Testamento una delle immagini adoperate per esprimere l’amore di Dio, la sua continua assistenza è quella del pastore. In merito si possono consultare, a modo di esempio, i testi di Is 40,10-11; Gr 23,1-4; Ez 34,1-24. Il Salmo 22 esprime la ricchezza teologica contenuta nell’immagine: “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome. Se dovessi camminare in una valle oscura, non temere alcun male,perché tu sei con me. Il tuo bastone ed il tuo vincastro mi danno sicurezza” ( vv. 1-4). Il tema del buon pastore era quindi per gli ascoltatori di Gesù particolarmente familiare e vivo.
Gesù si attribuisce il titolo di pastore. Le immagini di pastore, di pecore sono presenti nei Vangeli sinottici (cf. Mt 7,15; 9.36; 15,24; 25,31-46; Mr 6,34; Lc 12,32, ecc.). Nel Vangelo di Giovanni esse acquistano un significato del tutto particolare.

Nel brano che la Liturgia odierna ci presenta possiamo evidenziare quattro concetti:
a) Gesù è il buon pastore che offre la vita per il gregge. Al riguardo egli per far risaltare il modo nel quale è pastore adopera come controfigura il comportamento del pastore mercenario. Questi vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; egli si preoccupa del suo salario e non del gregge. Il comportamento di Gesù è contrassegnato invece dall’amore totale. Egli è il buon pastore che dà la sua vita per le sue pecore. Egli infatti ama le sue pecore, e le ama con un amore che lo porta sino a dare la sua vita per esse. Con la sua morte in croce Gesù costituisce il gregge. La morte in croce è il fondamento della salvezza del gregge, della sua unità e del suo sviluppo.

b) Gesù è il buon pastore che conosce le sue pecore e le sue pecore conoscono lui. E’ interessante sottolineare il tipo di conoscenza. Non si tratta di una conoscenza solamente intellettuale. E’ una conoscenza reciproca, intima, la quale richiama quella che hanno il Padre e il Figlio.

c) Gesù è il buona pastore che ha altre pecore che sono chiamate ad ascoltare la sua voce e diventare un solo gregge con un solo pastore. Il sangue di Gesù sulla croce è stato versato per tutti gli uomini; egli è il salvatore di tutti. Il suo gregge pertanto sarà potenzialmente costituito da tutti gli uomini.

d) La morte di Gesù buon pastore è un atto volontario. Gesù porta a sintesi quanto ha detto di sé come buon pastore allorché rileva che egli offre la sua vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno gli la toglie; egli la offre da sé stesso, liberamente, poiché ha il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando lo ha ricevuto dal Padre. L’attenzione è concentrata sulla libertà e il potere che ha Gesù di disporre della sua vita, della sua morte, della sua risurrezione. Nessuno, né i giudei, né Pilato, né i romani, neppure satana decidono della sua morte e della sua risurrezione.
 

La parabola del Buon Pastore acquista un significato particolare in questa IV Domenica di Pasqua, in cui si celebra la giornata mondiale delle vocazioni sacerdotali, istituita da Paolo VI nel 1963. Gesù continua la sua missione di Pastore tramite quelli ai quali Egli la partecipa: i presbiteri.
La nostra odierna riflessione pertanto intende attirare l’attenzione sul tema della promozione delle vocazioni sacerdotali, problema decisivo per la vita della Chiesa. In merito Gesù ce lo ricorda allorché ci richiama all’importanza del primato della preghiera costante perché “ Il padrone della messe mandi operai nella sua messe (Mt 9,38). Il Concilio Ecumenico Vaticano II, nel trattare il tema delle vocazioni sacerdotali, evidenzia che il dovere di dare ad esse incremento spetta a tutta la comunità cristiana, la quale è tenuta ad assolvere questo compito anzitutto con una vita perfettamente cristiana. Il Concilio parla della responsabilità dei Vescovi, dei presbiteri, degli insegnanti, delle associazioni cattoliche. Precisa che un contributo di grande portata viene offerto tanto dalle famiglie, le quali se animate da spirito di fede, di carità e di pietà, costituiscono come il primo seminario, quanto dalle parrocchie. In questa prospettica diventano urgenti e decisivi l’annunzio costante della bellezza della vocazione sacerdotale e la cura del germe della vocazione seminato dal divino Seminatore nel cuore dei chiamati. Più il dono della vocazione sacerdotale è annunziato, più appare nella sua sublime e soprannaturale specificità, più il cuore dell’adolescente, del giovane si rende disponibile ad accoglierlo con generosità, dedizione, e gioia; a custodirlo con particolare amore. C’è un’interdipendenza tra l’annunzio della bellezza della grandezza del sacerdozio ministeriale, della sua specifica identità e la sua accoglienza da parte dell’adolescente, del giovane. In realtà un ideale che non è chiaro non attira, non affascina il giovane; non lo rende disponibile ad impegnarsi per tutta la vita. Un’immagine del sacerdozio privo della sua originalità, della sua bellezza soprannaturale, non provoca la risposta generosa.
La trattazione del tema della promozione delle vocazioni sacerdotali deve essere continuamente presente in ogni attività pastorale; si tratta infatti di un tema che riguarda la stessa natura ed esistenza della Chiesa.
Tutto ciò porta a mettere in risalto che nella promozione delle vocazioni sacerdotali occorre essere persuasi che il punto di riferimento deve essere sempre Gesù, nel suo mistero soprannaturale. Egli chiama, Egli bussa alla porta del cuore ed Egli è anche il divino compagno del cammino vocazionale. Da qui la necessità di offrire all’adolescente, al giovane l’assistenza perché si abitui ad instaurare e vivere un rapporto intimo con la persona di Gesù, un'amicizia personale con Lui. L'autentico discorso sulla promozione della vocazione sacerdotale non può prescindere dalla relazione personale d'amore e di fede con il Signore. Questo significa concretamente che la vocazione matura, si sviluppa se è profondamente fondata su una vita interiore radicata nella preghiera personale, nell'adorazione, nei sacramenti della riconciliazione e dell'eucaristia, nella devozione alla Madonna, nell’amore per la Chiesa. In particolare, senza la devozione alla Santa Messa e all’Eucaristia, come suo cuore propulsore, il seme della vocazione inaridisce. Questo rapporto vitale e personale con Gesù è essenziale per la risposta positiva alla sua chiamata.
 

 

Ti rendo grazie, perché mi hai risposto,
perché sei stato la mia salvezza.
La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.
(dal Salmo 117)