25 marzo

V Domenica di Quaresima

dal Vangelo secondo Giovanni (12,20-33)

 

Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c'erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù».
Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l'ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l'anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest'ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome». enne allora una voce dal cielo: «L'ho glorificato e lo glorificherò ancora!». La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.

 

 

Il brano del Vangelo ci presenta Gesù a Gerusalemme, dopo il suo festoso e trionfale ingresso nella città, in occasione della Pasqua. La folla entusiasta lo ha accolto gridando “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re di Israele!”
( Gv 12,12-13). Tra coloro che erano saliti in città in occasione della festa vi sono degli stranieri, dei greci, cioè non giudei. Essi erano venuti a Gerusalemme non come turisti, ma come pellegrini: “per adorare”. Appartengono alla categoria dei “timorati di Dio” (cf. At 10, 2,35; 13,16,26). Vogliono vedere Gesù. Questo loro desiderio non è da intendersi in senso materiale; in Giovanni il verbo “ vedere” significa “credere”. Essi rappresentano i pagani chiamati alla salvezza. Il loro desiderio espresso a Filippo è fatto conoscere a Gesù. L’atteggiamento di Gesù nei loro confronti è strano. Egli sembra ignorarli; pare non dare loro importanza. Ma in realtà non è così. Gesù non risponde; ma inizia un soliloquio con se stesso e con il Padre, il quale è la risposta completa a tale desiderio. Gesù inizia il soliloquio, dicendo: “E’ giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo”. E’ arrivata l’ora verso la quale tutta la vita di Gesù è orientata fin dal suo inizio e ne costituisce il suo compimento; è l’ora della glorificazione, ma della glorificazione che si realizza nella morte sulla croce. La morte in croce svela l’aspetto più intimo e segreto del mistero di Gesù. Egli salverà gli uomini dal peccato donandosi, spezzando la sua vita per amore sulla croce. Si consumerà come il chicco di grano che deve morire per portare molto frutto. Con questo esempio Gesù illustra il senso profondo della sua passione imminente, quale sorgente di vita attraverso la morte e nella morte: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”.
Gesù accetta l’ "ora". Nel colloquio con il Padre vede la sua morte nella luce dell’amore redentore del Padre. La sua morte in croce è la suprema rivelazione dell’amore del Padre, della sua gloria. La voce che viene dall’alto conferma che la morte di Gesù in croce è la rivelazione della gloria di Dio. Nel Figlio sulla croce il Padre si rende visibile in tutta la sua gloria. Ma la voce che discende dall’alto non è destinata a Gesù; è rivolta agli uomini. Essa pronuncia un giudizio. Il principe di questo mondo, satana, è definitivamente sconfitto. Nell’ "ora" di Gesù il giudizio divino cala sul mondo. Dalla sua croce, luogo della manifestazione dell’amore divino, Gesù esercita la sua funzione di giudice, con potere di vita e di morte. La croce è il tribunale, dove viene pronunciato il giudizio di salvezza o di condanna; giudizio che si esprime nell’atteggiamento che ogni uomo assumerà di fronte alla donazione di amore di Dio sulla croce.
La croce, offerta di amore e di salvezza divina, ha forza intrinseca di attrazione: “Io quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me”. In tale affermazione si manifesta la fecondità del dono totale di Cristo sulla croce.

   
 

Il testo del Vangelo è molto ricco dal punto di vista teologico-spirituale. Vogliamo coglierne soltanto qualche aspetto che ci aiuti a prepararci meglio alla celebrazione della Pasqua ormai vicina.

Si può celebrare la Pasqua in senso vero se ci si lascia attirare dal dono dell’amore salvifico di Cristo sulla croce. Occorre sentire il bisogno, il desiderio di essere salvati da Gesù. L’uomo moderno appare proteso con immani sforzi a cercare la salvezza dalla malattia fisica e psichica, dalle ingiustizie sociali. La sua vita proiettata verso l’esterno, immersa nel vortice del movimento quotidiano non gli fa sentire la necessità di rientrare in sé stesso per comprendere che occorre anzitutto essere salvati interiormente, essere salvati dal peccato che è nel cuore dell’uomo. Se non si cambia il cuore, non si cambia la società, il mondo. Il porsi davanti alla croce di Cristo in silenzio farà scattare il bisogno, il desiderio di tale salvezza. La croce di Cristo crocifisso ci attirerà con la sua potenza di amore e ci condurrà alla conversione vera della nostra esistenza, la quale non consiste nell’abbandonare un vecchio modo di pensare per farsene uno proprio, anche se più spirituale. La croce di Cristo richiede quella conversione, attraverso la quale si comincia a pensare, ad agire, a vedere la propria vita, il mondo nella luce dell’amore di Gesù crocifisso. Si tratta di vivere la propria vita coinvolgendola nel destino di Gesù morto e risorto. L’amore salvifico di Cristo sulla croce conduce alla piena libertà dal proprio egoismo, dal proprio tornacontismo, all’ amore sincero, generoso verso il prossimo, al distacco serio da qualsiasi disordine morale.
Celebrare in modo autentico la Pasqua significa essere consapevoli che la vita terrena va vissuta nella prospettiva di quella eterna. La Pasqua ha il suo senso pieno nella luce della vita eterna. Le parole di Gesù: “Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna” possono suscitare perplessità o addirittura far sorgere l’interrogativo: Gesù desidera che noi disprezziamo la vita? Il contrasto tra amare e odiare la propria vita in questo mondo non deve intendersi come disprezzo o odio verso la vita. La vita è prezioso dono di Dio. Essa deve essere apprezzata e rispettata. Nel contrasto sottolineato nel brano evangelico si deve cogliere la necessità del primato che bisogna dare all’amore per Gesù, del valore che occorre attribuire alla vita eterna, la quale non è passeggera e transitoria come lo è la vita in questo mondo. L’odio per la vita significa l’odio per il regno del male, per il peccato, il quale è il vero nemico della vita eterna (cf. 1Gv 3,15).
Ed è bello per il cristiano prendere coscienza che la vita eterna e la figliolanza divina sono doni già in suo possesso. Certamente ci sarà una perfezione futura allorché la morte non ci sarà più (cf. Gv 5,28-29). Ma già fin da adesso il cristiano, che vive in intima unione con Gesù, possiede la gioia della vita eterna.
Celebrare la Pasqua significa comprendere che il destino di Gesù traccia il destino del cristiano: “Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà”. La vita cristiana ha il suo senso veritiero e pieno nella sequela di Gesù. Il cristiano vive la sua vita quotidiana con la consapevolezza che la glorificazione avverrà attraverso la fedeltà a Gesù. Il fedele e gioioso servizio nei confronti di Gesù è la garanzia di essere sempre con Lui e di essere onorati dal Padre.
Alla quasi vigilia della celebrazione della Pasqua la Liturgia sollecita uno sforzo gioioso di purificazione, di affinamento del nostro spirito, volto a condurci ad un rinnovamento autentico dello stile di vita, il quale deve essere anche visibile nell’ambiente in cui viviamo. La società lo attende, ne ha bisogno con urgenza.

 


Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro.

Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
Non scacciarmi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito.
(dal Salmo 50)