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10 novembre

XXXII Domenica del tempo ordinario
(Anno C)

Vangelo secondo Luca (20,27-38)

 

 In quel tempo, si avvicinarono alcuni sadducei, i quali negano che vi sia la risurrezione, e posero a Gesù questa domanda: “Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se a qualcuno muore un fratello che ha moglie, ma senza figli, suo fratello si prenda la vedova e dia una discendenza al proprio fratello.
C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette; e morirono tutti senza lasciare figli.
Da ultimo anche la donna morì. Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie”.
Gesù rispose: “I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe.

 



riflessione

Ci avviciniamo al termine dell’anno liturgico. Siamo invitati a riflettere sulla morte e sull’al di là. Alla nostra considerazione la liturgia di oggi propone il brano del Vangelo di Luca dove viene affrontato il tema della risurrezione dei morti. Si tratta di un argomento discusso nel giudaismo al tempo di Gesù. In merito si contrapponevano due gruppi: i farisei che credevano alla resurrezione dei morti e i sadducei che la negavano. Sono proprio questi ultimi che pongono a Gesù un caso del tutto grottesco, ma basato sulla legge del levirato ( cf. Dt 25,5), secondo la quale un fratello deve sposare la cognata rimasta vedova senza figli. Il caso, così come è presentato a Gesù, è volto a ridicolizzare la credenza nella risurrezione; infatti riguarda una donna che aveva avuto successivamente come marito sette fratelli. La domanda postagli è insidiosa: “Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie?”

La risposta di Gesù si snoda in due parti.
Nella prima afferma che la condizione della vita dei risuscitati non  va concepita  come il prolungamento  di quella dell’al di qua. I due mondi, quello presente e quello dell’al di là,  sono differenti. La vita futura è una vita nuova, è un nuovo modo di vivere. La difficoltà dei sadducei  pertanto non esiste. Il matrimonio scomparirà;  non ci sarà più la necessità di generare. Coloro che risusciteranno  non saranno più sottomessi alle leggi biologiche di questo mondo. Essi  saranno come gli angeli, cioè  immortali  e liberi da tutti gli impulsi di questo mondo. Inoltre, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio. L’espressione figli della risurrezione è un modo di dire semitico che equivale a “risuscitati”. Gesù vuole asserire   che la risurrezione  farà apparire in senso pieno il nostro essere figli di Dio.  Lo si è già in questo mondo, ma non  nella  piena  manifestazione della partecipazione della vita e della  gloria di Dio.


Nella seconda parte Gesù  attesta   la sicurezza di  tale destino sull’autorità della Scrittura, intesa come parola di Dio. In questo modo il suo argomentare  si contrappone a quello  dei sadducei; essi   si fondavano  sulla parole della legge di Mosè per mostrare  l’incongruenza della credenza nella risurrezione.   Gesù fa appello all’affermazione di Mosè che   a proposito del roveto, chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe ( Es 3,6). Il fatto che Dio si presenta a Mosè come il  Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe  significa che Egli  si sente in rapporto vitale con i patriarchi morti da centinaia di anni; significa che essi continuano a vivere in comunione con Lui.  Infatti Dio, che è il vivente,  la  sorgente di ogni vita,   non può associarsi a dei morti.
Gesù conclude: “Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui”. Egli dichiara non solamente che tutti vivono per mezzo di Dio, ma anche che il termine della vita di ogni uomo è Dio. La risurrezione non è soltanto una questione antropologica, vale  a dire un problema  che concerne l’uomo e il suo destino. Essa riguarda anzitutto la relazione con Dio, sorgente e meta di ogni vivente.

- La risurrezione è il centro della fede cristiana: “Se i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede” (1 Cor 15,16). Gesù è risuscitato dai morti “primizia di coloro che sono morti” ( 1 Cor 15,20); è  “primogenito di  coloro che risuscitano dai morti” (Col 1,18).

 - Nella nostra società è attuale  la tentazione di  ragionare da “nuovi sadducei”. Ci si crede “signori” della propria  vita; si vive come se  ciò   che conta  è qui,  in questo mondo, e qui, in questa vita,  finisce.

Il Signore ci ricorda   che siamo  pellegrini,   in cammino verso la patria del cielo, dove vivremo da risorti con Cristo, primizia dei risorti. Credere nella risurrezione futura, però,  non significa svuotare la vita presente o perdere di vista i nostri impegni quotidiani. Significa invece riempire il nostro vivere  quotidiano di senso e di valori.
 


 

Ci sazieremo, Signore, contemplando il tuo volto.

Ascolta, Signore, la mia giusta causa,
sii attento al mio grido.
Porgi l’orecchio alla mia preghiera:
sulle mie labbra non c’è inganno.

((dal Salmo 16)