In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: ”Quando il Figlio
dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul
trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti,
ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore
dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti
del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla
fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da
mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi
avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato,
carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno:
Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da
mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto
forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando
ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?
Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete
fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli,
l’avete fatto a me. Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da
me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi
angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto
sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete
ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi
avete visitato. Anch’essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti
abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in
carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi
dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei
fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me. E se ne andranno, questi
al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna”. Con la
solennità di Cristo Re si chiude l’anno liturgico durante il quale la
Chiesa ci fa rivivere i misteri della vita del Signore. La solennità fu
istituita da Papa Pio XI alla fine dell’anno santo del 1925. Essa però è
antica perché risale a Cristo stesso. Egli, interrogato da Pilato, si
proclamò re (Gv 18,37), precisando che il suo regno non è di questo
mondo.
La regalità di Cristo ha il suo punto culminante sulla croce; là si dà
la più alta espressione del suo amore salvifico per tutti gli uomini. La
sua è la regalità dell’amore, che si dona totalmente ed a tutti.
Ma affermare la regalità di Cristo significa allo stesso tempo
proclamare la “regalità” di tutti gli uomini che Egli ha salvato ed ha
costituito figli di Dio. Proprio per questo più l’uomo accetta Cristo
nel suo cuore, più sarà capace di amare tutti, anche i più bisognosi.
Proprio per questo più la società riconosce la regalità di Cristo, più
in essa sarà proclamata e difesa la dignità dell’uomo.
La solennità odierna è connotata da una visione cosmica della regalità
di Cristo. Celebriamo Nostro Signore Gesù Cristo re dell’universo. In
merito ricordiamo quanto afferma il Concilio Ecumenico Vaticano II nel
documento Gaudium et Spes e precisamente in un paragrafo (n.45)
intitolato “Cristo alfa e omega”: «… il Verbo di Dio, per mezzo del
quale tutto è stato creato, si è fatto egli stesso carne, per operare,
lui, l’uomo perfetto, la salvezza di tutti e la ricapitolazione
universale. Il Signore è il fine della storia umana, “il punto focale
dei desideri della storia e della civiltà”, il centro del genere umano,
la gioia d’ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni. Egli è colui
che il Padre ha risuscitato da morte, ha esaltato e collocato alla sua
destra, costituendolo giudice dei vivi e dei morti. Nel suo Spirito
vivificati e adunati, noi andiamo pellegrini incontro alla finale
perfezione della storia umana, che corrisponde in pieno col disegno del
suo amore: “Ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come
quelle della terra” (Ef 1,10). Dice il Signore stesso: “Ecco, io vengo
presto, e porto con me il premio, per retribuire ciascuno secondo le
opere sue. Io sono l’alfa e l’omega, il primo e l’ultimo, il principio e
la fine” (Ap 22, 12-13)».
Questa convergenza di tutto l’universo in Cristo Signore esige
l’attività responsabile di ciascuno di noi.
*********************
L’odierna pagina del Vangelo ci descrive, mediante la
rappresentazione del re che separa come un pastore le pecore dai capri,
la venuta di Gesù quale giudice di tutti gli uomini. E’ la scena del
giudizio finale, la quale si impone per la sua drammaticità. Si apre con
l’apparizione gloriosa del giudice. Egli con il suo trono è avvolto
dall’aureola propria di Dio, la gloria. Il seggio esprime la sua
attività di giudice. E’ attorniato dai suoi angeli, i quali
costituiscono la sua corte. La loro funzione è quella di assisterlo nel
giudizio che egli si predispone a compiere. Il giudizio inizia con la
convocazione di tutti i popoli. Ciò che impressiona è la
contrapposizione dei due gruppi in cui si dividono gli uomini. Questa
separazione determina il loro destino. Per quelli che stanno alla destra
del trono si dà benedizione: “venite benedetti”; per quelli che stanno
alla sua sinistra maledizione: “andate via da me, maledetti”. Il
giudizio verte sulle opere di amore verso i bisognosi. Ma ciò che
caratterizza la loro effettuazione o meno è l’identificazione con
Cristo, la relazione con Lui. Quello che è fatto ai fratelli più piccoli
è fatto a Lui. Questa identificazione si spiega anzitutto con la
solidarietà di Cristo con i bisognosi. Egli è stato povero, oppresso,
respinto, conculcato. Si comprende poi per il fatto che dove c’è
miseria, ingiustizia c’è anche una situazione di peccato. E Gesù è
venuto nel mondo per togliere il peccato (cf Gv 1,29).
Pertanto l’esame finale, il criterio decisivo della salvezza o della
rovina eterna per tutti gli uomini non verte solamente sulla
manifestazione o meno di amore verso i bisognosi, ma anche sul suo
valore cristologico. Coloro che sono rimasti indifferenti ai bisogni dei
più piccoli hanno reso un oltraggio a Cristo stesso. Il giusto giudice
glorioso ha il volto dell’ammalato, del carcerato, dell’affamato,
dell’assetato, dell’ignudo, dello straniero.
E’ un insegnamento che interpella la nostra fede. Saremo giudicati
sull’amore che abbiamo verso i nostri fratelli. In questa prospettiva si
comprende anche che l’accettazione di Cristo significa riconoscimento
della dignità dell’uomo, della sua dignità impressa nel cuore e nel
corpo di ogni fratello.
|