In quel tempo, Gesù disse: «Io sono la vite vera e il Padre mio è
l'agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e
ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi
siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in
me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se
non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono
la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto
frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me
viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano
nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in
voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato
il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
COMMENTO
Gesù nel parlare del suo rapporto con i suoi discepoli si serve di
immagini che Dio adopera nell’Antico Testamento per descrivere la sua
relazione di amore con il suo popolo prediletto, il popolo di Israele.
Gesù le utilizza, ma in un modo essenzialmente nuovo. Nel Vangelo della
domenica scorsa Egli si proclama pastore, ma si definisce il buon
pastore, che conosce le sue pecore ed offre la sua vita per loro. Nel
brano evangelico odierno paragona se stesso alla vite, il Padre al
vignaiolo e i discepoli ai tralci. Il tema della vigna e della vite è
utilizzato nell’Antico Testamento. In merito ricordiamo che esso assume
alle volte carattere drammatico. Le immagini della vigna, delle vite
sono segno dell’amore di Dio, delle sue premure, ma allo stesso tempo
sono segno dell’infedeltà del popolo. Basta leggere il cantico della
vigna in Isaia ( Is 5,1-7) per rendersene conto. E’ Dio che si aspetta
che la vigna produca uva, ma essa fa uva selvatica. Lo stesso dramma è
descritto da Geremia: “Ti avevo piantato come vigna scelta, tutta di
vitigni genuini; ora come mai ti sei mutata in tralci degeneri?” ( Ger
2,21). Nel profeta Ezechiele Israele viene descritto come vite sterile e
senza frutti (Ez 15,1-6).
Gesù definendosi vite si inserisce nel contesto del simbolismo della
vigna e della vite dell’Antico Testamento, ma ad esso da un significato
del tutto nuovo. Infatti in nessun testo dell’antico Testamento viene
dato rilievo alla vite come fonte di vita per i tralci. Gesù è vite
dalla quale promana un flusso vitale. La novità diventa più perspicua se
si considera che Gesù mette l’accento sul rimanere innestati in lui. Per
ben cinque volte parla della necessità di rimanere in lui. A questo
rimanere in lui fa riscontro la situazione negativa del “chi non rimane
in lui”. Il rimanere in lui non è un mero rapporto di amicizia; è
principalmente una fusione, che nasce dal sentirsi coinvolti in lui.
Come tra la vite e il tralcio circola lo stesso flusso vitale, cosi tra
lui e i suoi discepoli. Proprio per questo il rimanere è a senso
reciproco: i discepoli rimangono in Gesù e Gesù rimane in loro. Tra lui
e i discepoli c’è un unico rapporto personale, un rapporto di comunione.
Se essi rimangono in lui per mezzo della fede, Gesù rimane in loro
attraverso l’amore e la fecondità. Coloro che restano uniti a lui come
il tralcio alla vite appartengono alla vigna del Padre. Quelli che
rimangono in lui e soltanto essi portano frutto.
Ma la drammaticità del rapporto tra Dio e il suo popolo descritta
nell’Antico Testamento tramite la vigna rifiutata, devastata, mediante
il tronco delle vite inaridito e quindi divorato dal fuoco, si riscontra
nel destino dei tralci gettati via, i quali si seccano, e poi sono
raccolti e gettati nel fuoco e bruciati. Pertanto un tralcio che non
porta frutto è un tralcio morto, destinato ad essere bruciato nel fuoco.
Nei Vangeli sinottici troviamo punti di paragone (cf. Mt 25,41; Mc
9,43). Significativo è quanto si legge in Mc 3,10: “Ogni albero che non
produce frutti buoni è tagliato e buttato nel fuoco”. La verità
dell’unione con Gesù si riconosce dalla sua fecondità.
Un’idea da sottolineare è che coloro che credono in Gesù sono
incessantemente mondati. Il suo messaggio è fonte di continue crescenti
purificazioni,è sorgente permanente della vitalità cristiana.
E’ interessante evidenziare che il Padre è glorificato allorché i
discepoli di Gesù portano frutto. “In questo è glorificato il Padre mio:
che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli”.
RIFLESSIONE
Nel brano del Vangelo è espressa in un modo incisivo ed eloquente la
totale nostra dipendenza da Gesù. L’immagine del rimanere in Lui indica
un rapporto di fede e di amore, rapporto che è fecondo: “Chi rimane in
me e io in lui, porta molto frutto”.Il simbolismo del portare o non
portare frutti non va inteso anzitutto in termini di opere buone da
compiere o di un modo virtuoso di vivere. L’accento è messo sulla
fedeltà alle esigenze della fede, del credere in Gesù, nella sua Parola.
Gesù sottolinea che la sua parola, l’intero suo insegnamento deve
rimanere nel discepolo come parte essenziale della sua esistenza. Il
messaggio deve essere posseduto; si deve fare esperienza di vita, anche
se alle volte dolorosa. Rimanere in Gesù significa vivere una vita in
armonia con la sua Parola, con tutto il suo insegnamento. L’affermazione
di Gesù diventa comprensibile alla luce di quanto S. Giovanni scrive
nella prima lettera: “Se rimane in voi quel che avete udito da
principio, anche voi rimarrete nel Figlio e nel Padre” (1 Gv 2.24).
La serietà e drammaticità dell’invito di Gesù alla fedeltà totale,
incrollabile alla sua persona e al suo messaggio è messa in evidenza
nell’immagine della diversa sorte riservata ai tralci. Quelli secchi
sono gettati nel fuoco. Un tralcio che non porta frutto è tralcio morto.
Da qui si comprende l’esigenza dell’unione con Gesù.
|