In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e
disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre,
la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita,
non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può
essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la
spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che,
se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti
coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: "Costui ha iniziato a
costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro. Oppure quale re,
partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se
può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con
ventimila? Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda dei
messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere
mio discepolo».RIFLESSIONE
E’ importante costatare che Gesù precisa le richieste per essere
suoi discepoli dopo avere notato che molta gente lo segue mentre si
dirige verso Gerusalemme, dove sarà arrestato, processato, condannato a
morte. Ciò potrebbe essere interpretato nel senso che Egli voglia quasi
scoraggiare la folla a seguirlo. Non è così; l’invito è rivolto a tutti.
Egli intende piuttosto mettere in risalto la serietà della scelta di
impegnarsi per lui. Le sue richieste sono molto esigenti.
Anzitutto Gesù reclama di essere anteposto a qualsiasi affetto: “Se uno
viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i
fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio
discepolo”. Il linguaggio è forte: Luca parla di “odio”. La formula
parallela di Matteo suona così: “Chi ama il padre o la madre più di me
non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno
di me” (Mt 10,37). Il termine “odiare” è un ebraismo che non va preso
alla lettera. Gesù non abolisce il quarto comandamento, anzi lo
riconosce (cf Lc 18,20), né sopprime gli affetti familiari. Esige la
scelta radicale che subordina ogni affetto a lui. Egli deve avere il
primato nella gerarchia degli affetti. SeguirLo significa metterlo al
primo posto.
La radicalità della sequela riguarda non soltanto gli affetti familiari,
ma anche la stessa vita. Il discepolo deve essere pronto anche al
martirio pur di non perdere Gesù. Gesù passa davanti a tutto, anche alla
stessa vita.
C’è un’altra richiesta: “Chi non porta la propria croce e non viene
dietro di me, non può essere mio discepolo”. Negli ascoltatori
l’espressione “portare la propria croce” risvegliava l’immagine
terribile del condannato a morte che portava da sé il legno al quale
stava per essere inchiodato. Gesù vuole dire che l’ombra della sua croce
si riflette, si prolunga sulla vita del discepolo. “Portare la propria
croce” significa mettersi nella disposizione di affrontare tutti i
sacrifici e la morte stessa per rimanere fedeli a Gesù, per seguirlo
fedelmente. Si tratta delle abnegazioni e delle rinunce che si impongono
al cristiano ogni giorno.
Gesù nell’indicare queste priorità di scelta invita alla riflessione. La
sua sequela è un compito che richiede impegno e costanza. Per rendere
comprensibile questa esigenza Egli porta due parabole, le quali non
hanno lo scopo di sottolineare la necessità di prendere in
considerazione le proprie forze quasi che la sequela di Gesù non fosse
obbligatoria e che davanti alla sua proposta ci si potesse tirare
indietro. L’invito porta con sé la grazia di vivere da discepoli.
Entrambe le parabole vogliono piuttosto evidenziare una scelta che
coinvolge profondamente la persona ed inculcare la necessità della
coerenza, della perseveranza. Nelle questioni umane importanti si fa di
tutto per raggiungere l’obiettivo propostosi, anche a costo di qualsiasi
sacrificio, per non esporsi al fallimento, alla derisione. Allorché si
tratta della sequela di Gesù l’impegno deve essere serio e perseverante.
Questo è il “calcolo” richiesto al discepolo.
Le parole di Gesù: “chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi,
non può essere mio discepolo” vanno intese alla luce di Lc 12,33 e
18,22, vale a dire nel senso che esiste un duplice modo di seguire Gesù:
uno che è quello rivolto a tutti, l’altro, particolare, che consiste in
quella adesione a Lui, la quale richiede il massimo sacrificio che non
tutti sono capaci di affrontare. Questo però non comporta la diminuzione
della tensione, valida per tutti, nel tenere il cuore distaccato dai
beni terreni. Se il cuore è attaccato alla ricchezza si inaridisce e si
chiude a tutti i sentimenti anche a quelli più nobili: anche all’amore e
al rispetto per il padre, la madre, i fratelli e le sorelle.
Il cristianesimo è gioia, ma essa non è donata a poco prezzo o
gratuitamente. Gesù ha raggiunto l’esaltazione passando per la croce.
Ciò vale anche per il discepolo. Non c’è pasqua senza il venerdì di
passione. |