In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a
sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e
insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno
saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei
cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e,
mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei
cieli».

COMMENTO
Il messaggio delle beatitudini appare paradossale, sconvolgente; ci
si chiede subito se esso risponda al modo di felicità a cui aspira
l’uomo. Gesù infatti dichiara beati quelli che noi riteniamo infelici.
Per noi è beato, felice il ricco, il potente. Gesù capovolge i criteri
mondani. Ma è da dire che il discorso di Gesù va al cuore dell’uomo, si
dirige ad esso, per far comprendere come si deve vivere da felici.
Invero chi pronuncia le beatitudini è il Figlio di Dio, fattosi uomo per
amore; Egli non può proclamarle se non per il bene autentico dell’uomo.
Il contesto in cui Gesù le pronuncia mostra che il suo insegnamento è
autorevole. Le proclama ponendosi a sedere. Si tratta di un modo
letterario di esprimersi per evidenziare il diritto, l’autorità con cui
Gesù si accinge a parlare. Le proclama da "un monte”. Il monte allude
alla montagna dell’antica rivelazione di Dio a Mosè: il Sinai. Ma Gesù
non è nella stessa posizione di Mosè; Egli è Dio che impone precetti con
la sua autorità.
Gesù si rivolge ai discepoli e contemporaneamente alle folle, quindi a
quelli che ha chiamato e che lo hanno seguito, ma anche a tutti gli
uomini, di tutti i tempi e di tutte le culture.
Ma cosa sono in realtà le beatitudini proclamate da Gesù? La beatitudine
è un augurio di felicità, il quale si trova frequentemente nell’Antico
Testamento e anche nel Nuovo;essa esprime anche uno stato di benessere
particolarmente spirituale. Il termine ebraico, adoperato al plurale,
significa la felicità considerata nella sua totalità; indica l’augurio
di “tutto il successo”, di “tutta la fortuna”.
La felicità che Gesù augura è in rapporto al “regno di Dio”, alla
salvezza messianica, e concretamente è in rapporto a Lui stesso. Il
“regno di Dio” è il criterio per valutare il modo nuovo e paradossale
con cui il discepolo di Gesù vive le situazioni della vita. Non si è
beati perché si è perseguitati, ma perché si è perseguitati “a causa
della giustizia”. La sofferenza, la calunnia, se vissute, affrontate per
causa di Cristo, si trasformano in felicità; e non soltanto nell’altra
vita vita, ma anche in questa. Ormai non ci sono più situazioni di
povertà, di sofferenza condannate alla disperazione. I poveri, i
perseguitati, gli afflitti sono invitati ad entrare nel Regno di Dio, ad
essere felici.
Le beatitudini sono annunzio messianico (cf Lc 4,17), nel senso che Gesù
è colui che realizza la profezia del profeta Isaia (Is 61,1s):
l’annunzio del lieto messaggio ai poveri, la liberazione degli oppressi,
dei prigionieri. Esse sono anche programma di vita per il discepolo di
Gesù.
Ma è da rilevare che le beatitudini mirano indirettamente a riscattare
dallo stato sociale di povertà, di sofferenza, di ingiustizia. Se
infatti rimandano alla promessa di Dio di realizzare per i poveri, i
miti, i perseguitati la piena manifestazione della sua regalità e quindi
affermano per loro la promessa di ricevere il dono della felicità, allo
stesso tempo esse sono un’implicita esortazione a porre in essere le
condizioni per la realizzazione del dono salvifico del regno di Dio:
impegno per la “giustizia”, per la pace, per l’attuazione della
misericordia, della purezza del cuore e della perseveranza nelle prove.
Le beatitudini evangeliche hanno il loro modello e la garanzia della
loro effettuazione in Gesù stesso. Hanno un volto umano: il volto di
Gesù. Egli è il povero, l’umile, il rifiutato, l’ affamato di giustizia,
il misericordioso, il perseguitato dagli uomini; ma Egli è anche colui
che è esaltato da Dio. Occorre guardare a Lui; convertendosi a Lui e
ricevendo il dono del suo Spirito si è in grado di comprendere il suo
messaggio paradossale e di viverlo.
Non è possibile esaminare le singole beatitudini. Riteniamo importante
attirare la nostra attenzione sulla prima: «Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli». Essa è la più urgente e possiamo
dire quella che sintetizza tutte le altre.
Il termine “povero” connota chi si umilia, implora, domanda aiuto. Il
Vangelo parla di “povertà in spirito”. Essa consiste in un atteggiamento
interiore. E’ l’uomo nella sua totalità che si impoverisce, che si pone
in uno stato di bisogno. Il povero in spirito è colui che è distaccato
non soltanto dai beni materiali, ma anche da quelli superiori
dell’intelligenza, della volontà. Libero da qualsiasi attaccamento, si
rende disposto ad accogliere i beni superiori, trascendenti del regno di
Dio, di mettersi alla sequela di Gesù. In questo contesto è “povero” il
ricco pubblicano ed è “ricco” il povero fariseo. Ma se la povertà in
spirito non si identifica con la povertà materiale, non può prescindere
da essa. L’attaccamento ai beni materiali, alle proprie idee sono una
tentazione costante per dimenticare Dio e per riporre la propria
felicità unicamente nel loro possesso.
La felicità che Gesù ci propone non è relegata all’al di là. Egli
ci vuole felici anche in questa terra. Ci dice che soltanto nel vivere
in armonia con Lui, con il suo messaggio, il nostro cuore potrà essere
veramente felice. Ci dice anche che occorre essere cooperatori perché il
regno di Dio, che è regno di pace e di giustizia, si affermi nel mondo. |