In quel tempo, Gesù, di ritorno dalla regione di Tiro, passò per
Sidone, dirigendosi verso il mare di Galilea in pieno territorio della
Decàpoli.
E gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano.
E portandolo in disparte lontano dalla folla, gli pose le dita negli
orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il
cielo, emise un sospiro e disse: «Effatà» cioè: «Apriti!».
E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua
lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo raccomandava, più
essi ne parlavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni
cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
COMMENTO
Questo miracolo è narrato soltanto dall’evangelista Marco. E’
compiuto da Gesù in un territorio pagano (la Decapoli). In questa terra
pagana egli aveva guarito la donna siro-fenicia (cf. Mc 7,24-31) ed in
essa compirà il miracolo della seconda moltiplicazione dei pani ( cf. Mc
8,1-10). Ciò evidenzia che la salvezza portata da Gesù non è soltanto
per gli ebrei, ma anche per i pagani: nessuno ormai è estraneo ad essa.
Può sorprendere il modo di comportarsi di Gesù nel compiere il miracolo.
I suoi gesti rimandano a pratiche terapeutiche in uso a quel tempo. In
realtà, però, i gesti di Gesù sono volti a mostrare la potenza salvante
che emana da lui, la sua partecipazione alla sofferenza umana. Gesù
raggiunge l’uomo nella sua concretezza storica e ne condivide le
sofferenze. Il suo sospiro indica proprio la sua commozione, il suo
dolore per il sordomuto. Il suo sguardo verso il cielo mostra che la sua
forza risanatrice non è magia, ma potenza divina.
Il miracolo avviene con la parola risanante pronunciata in originale
semitico: «Effatà».
La folla non osserva il severo comando di Gesù di non parlare del
miracolo. Essa grida “Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa
parlare i muti”. Certamente aveva presente il noto testo di Isaia che
preannuncia fatti prodigiosi alla venuta del Messia: “Allora si
apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi.
Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del
muto” (Is 35,5-6). Mediante questo collegamento, la folla riconosce Gesù
come il Messia preannunciato dai profeti.
Gesù viene proclamato come colui che ha fatto bene ogni cosa. Questa
proclamazione richiama Gen 1,31, quasi a dire che in Gesù è presente
l’opera creatrice di Dio; in lui è in atto una nuova creazione.
L’evangelista Marco nel descrivere il miracolo vuole sottolineare che i
pagani acclamano Gesù come Dio della guarigione: essi sono coloro che
odono e comprendono. A questo atteggiamento di fede contrasta
l’incomprensione dei discepoli, il cui cuore è ancora indurito (cf Mc
6,52; 8,17) e le cui orecchie non odono ancora (cf. Mc 8,18).
Il miracolo del sordomuto ci riguarda personalmente. Nel giorno
del battesimo ci sono stati fatti gli stessi gesti compiuti da Gesù sul
sordomuto. Nel rito del battesimo dei bambini il celebrante dice: “Il
Signore Gesù che fece udire i sordi e parlare i muti, ti conceda presto
di ascoltare la sua parola e di professare la tua fede, a lode e gloria
di Dio”. Nel rito per gli adulti il ministro adopera la stessa parola di
Gesù: «Effatà» e la spiega: “Effatà, cioè apriti, perché tu possa
professare la tua fede a lode e gloria di Dio”. Nel battesimo abbiamo
ricevuto la capacità di ascoltare la parola di Dio e di annunziarla agli
altri. E’ un compito che ci coinvolge personalmente e continuamente.
Le orecchie del nostro cuore devono aprirsi costantemente all’ascolto
del messaggio di Gesù e la lingua si deve sciogliere nell’annunziarlo
apertamente e con coraggio a tutti. Lo richiede la fedeltà al nostro
battesimo. Alle volte non abbiamo nulla da proclamare agli altri perché
non sappiamo ascoltare la parola di Dio. Chi prima non ascolta il
Vangelo non saprà annunciarlo con la lingua e con la vita.
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