In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo
fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se
non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa
sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà
costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità,
sia per te come il pagano e il pubblicano.
In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato
in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in
cielo.
In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno
d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli
gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì
sono io in mezzo a loro».COMMENTO
Nel brano del Vangelo odierno Gesù ci parla della correzione
fraterna in seno alla comunità ecclesiale. Il cristiano può peccare. Il
peccato è sempre presente nella Chiesa, perché essa è formata da uomini
e da donne che hanno limiti e debolezze. Il peccato mette in pericolo la
coesione interna della Chiesa, la sua santità. La comunità ecclesiale
non può restare indifferente nei confronti del fratello che pecca; è
chiamata ad impegnarsi a condurlo sulla retta strada. Per guadagnarlo si
danno tre modi di agire, che costituiscono la cosiddetta “regola
disciplinare”. Si discute tra gli esegeti se essa assuma un carattere
giuridico - disciplinare sotto forma di un vero processo, o piuttosto
quello di un procedimento di ordine pastorale, che mira - tramite uno
stile di dialogo fraterno - a ricuperare il fratello peccatore. Questa
seconda interpretazione risponde meglio alla visuale che Matteo ha della
Chiesa: essa è la comunità mista, dove coesistono buoni e cattivi; solo
alla fine sarà fatta la separazione tra loro ( cf. Mt 13,37-41; 13,
48-49).
Vanno messi in risalto i tre tentativi volti a correggere il peccatore;
ciò al fine di comprendere meglio la natura e la finalità della
correzione fraterna.
Il primo tentativo consiste in un’ammonizione individuale; vuole far
sentire al fratello peccatore la solidarietà sofferta degli altri
fratelli; mira a riacquistarlo in seno alla comunità. Non si tratta di
umiliarlo, ma di conquistarlo all’affetto della comunità. Il secondo
prevede la presenza di una o due persone, “perché ogni cosa sia risolta
sulla parola di due o tre testimoni” (v.16). Si tratta di una procedura
già presente nella legge mosaica (cf. Dt 19,15) per i dibattimenti
giudiziari. Però, qui, nella chiamata dei testimoni è da vedersi un
tentativo ampliato di pacificazione con la comunità. Qualora questa
seconda istanza risultasse inefficace, il caso è sottoposto
all’assemblea, cioè alla comunità ecclesiale. Il fallimento di questo
ultimo tentativo comporta che il fratello peccatore è da ritenersi “un
pagano e un pubblicano”.
I pagani erano considerati degli estranei alla comunità ecclesiale. La
decisione presa dall’assemblea nei confronti del peccatore è la
notificazione della situazione venutasi a creare a seguito della rottura
della fraternità da parte del peccatore: egli si separa dalla comunità.
La frase “tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in
cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche
in cielo” vuole giustificare il potere che ha la comunità di dare un
giudizio di appartenenza o di distacco dalla vita di grazia della
comunità. Queste parole che furono rivolte precedentemente a Pietro (cf.
Mt 16,19) non significano che il potere dato a Pietro viene meno. Quello
conferito alla comunità ecclesiale nei riguardi del fratello peccatore è
da vedersi in sintonia con il potere di Pietro. Questi è la “pietra” su
cui poggia la Chiesa.
Nel brano evangelico odierno si coglie una Chiesa vista come una
comunità di fede e di amore; come comunione fraterna, in cui ognuno dei
suoi membri è corresponsabile del bene di tutti; una Chiesa in cui
Cristo è presente. In merito sono dense di contenuto teologico -
spirituale le parole di Gesù: “…dove sono due o tre riuniti nel mio
nome, io sono in mezzo a loro” (v. 20). La comunità è disgregata dal
peccato. Unita, invece, nel nome di Cristo, nell’amore reciproco, nella
preghiera comune, diventa onnipotente presso Dio. Due o tre è il numero
più piccolo per costituire una comunità. Gesù non pensa in termini
trionfalistici. Quello che importa è essere riuniti nel “nome di
Cristo”. Allora “qualunque cosa domanderete al Padre mio che è nei cieli
ve la concederà”.
La correzione fraterna è espressione della nostra solidarietà e
corresponsabilità nei confronti dei fratelli. Il peccato del nostro
fratello deve essere sentito come proprio: sfigura il volto della stessa
Chiesa e non la rende attraente dinnanzi a coloro che vivono fuori di
essa.
La correzione è, quindi, indispensabile per il bene del fratello e della
comunità ecclesiale. Di grande importanza è l’atteggiamento con cui essa
deve essere fatta: non deve tendere ad umiliare, ma a portare il proprio
fratello a ravvedersi ed a reinserirlo nella comunità ecclesiale.
L’atteggiamento necessario è quello dell’amore. Soltanto così essa potrà
essere efficace.
A proposito della correzione fraterna vanno ricordate le eloquenti
parole di S. Giacomo: “Fratelli miei, se uno di voi si allontana dalla
verità e un altro ve lo riconduce, costui sappia che chi riconduce un
peccatore dalla sua via di errore,salverà la sua vita dalla morte e
coprirà una moltitudine di peccati” (Gc 5,19-20). S. Paolo nella lettera
ai Romani ci indica il modo per superare ogni possibile conflitto: “Non
abbiate alcun debito con nessuno, se non quello dell’amore vicendevole:
perché chi ama il suo prossimo ha adempiuto la legge” (Rm 13,8).
Ma non si può parlare di correzione fraterna senza evidenziare anche
l’importanza dell’atteggiamento di umiltà che occorre avere nel
riceverla. E’ indicativa al riguardo l’esortazione data da S. Francesco
d’Assisi: Beato il servo che è disposto a sopportare così pazientemente
da un altro la correzione, l’accusa e il rimprovero, come se li facesse
da se. Beato il servo che, rimproverato, di buon animo accetta, si
sottomette con modestia, umilmente confessa e volentieri ripara. |