In quel tempo, Gesù disse a Nicodemo: «Come Mosè
innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il
Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito,
perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non
ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il
mondo si salvi per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma
chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome
dell'unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno
preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie.
Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché
non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce,
perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
COMMENTO
Nel brano evangelico possiamo distinguere due parti. La prima,
costituita dai versetti 14-15, rappresenta il punto più alto del
colloquio di Gesù con Nicodemo (cf. Gv 3,1-13). La seconda, (versetti
16-21), ci offre una riflessione o meditazione dell’evangelista
Giovanni, volta ad approfondire la richiesta di Gesù a Nicodemo.
Le parole che Gesù rivolge a Nicodemo a conclusione del suo dialogo con
lui sono sconvolgenti: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così
bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in
lui abbia la vita eterna”.
Gesù mette Nicodemo di fronte al modo nuovo e sorprendente della
salvezza dell’uomo voluta da Dio. Per farsi comprendere, porta l’esempio
dell’esperienza della salvezza degli israeliti nel deserto ( cf. Nm 21,
4-9). Puniti da Dio, per avere mormorato contro di Lui e contro Mosè,
sono salvati dal morso mortale dei serpenti velenosi guardando al
serpente di metallo innalzato da Mosè sull’asta.
Per essere salvati - dice Gesù a Nicodemo - occorre guardare al Figlio
dell’uomo innalzato sull’albero della croce. Lì, sulla croce, Egli offre
la salvezza: chiunque crede in Lui avrà la vita eterna. Innalzato sulla
croce è per il mondo il segno dell’amore di Dio verso gli uomini.
Il senso dell’innalzamento di Gesù sulla croce è profondo. Giovanni nei
versetti vv.16-21 ne dà l’illustrazione. Ci troviamo davanti alla
descrizione drammatica della salvezza. L’amore di Dio per gli uomini e
la consegna del suo Figlio Unigenito alla morte in croce sono posti
l’uno accanto all’altra. Dio ha preferito gli uomini, consegnando il
proprio Figlio alla morte in croce. Questa offerta che Dio fa del suo
amore è la più sublime, la più totale. La morte del Figlio sulla croce è
la testimonianza più vera e completa dell’amore di Dio; è amore firmato,
sigillato con il sangue del Figlio. Ecco perché esso giustifica il
carattere decisivo, definitivo della scelta che l’uomo è chiamato a
prendere nei suoi riguardi. Nella misura in cui accoglie o respinge
l’offerta di amore di Dio sulla croce acquista o perde la vita eterna.
L’amore, dato per salvare, può diventare giudizio e condanna
inappellabile. Ma è un giudizio che l’uomo stesso pronuncia sopra di sé.
Davanti alla croce egli è chiamato a scegliere; la sua salvezza dipende
dall’accettazione o dal rifiuto dell’amore di Dio, rivelatosi nel
Crocifisso.
Per esprimere questo dramma l’evangelista ricorre alle immagini della
luce e delle tenebre. Tra esse esiste contrapposizione. Gesù è venuto
nel mondo come luce. Chi crede in Lui luce non è condannato:
"… il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno
preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie.
Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché
non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce,
perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio”.
La scelta impegna la vita. Il cuore dell’uomo può rifiutare la luce e
preferire le tenebre perché la luce mette a nudo le sue opere malvagie.
Chi fa il male, chi commette peccato, odia la luce.
Al contrario chi fa la verità, cioè colui che regola la sua vita secondo
il volere di Dio, va verso la luce, ama la luce: la sua vita si realizza
apertamente in Dio, perché è vissuta con fedeltà all’amore di Dio, in
conformità con la sua volontà.
RIFLESSIONE
1. Il paradosso della croce di Cristo è l’offerta dell’amore salvifico
sconfinato, eterno di Dio a ciascuno di noi. Gesù crocifisso ci
interpella con il suo amore. Non ci giudica; noi pronunciamo il giudizio
sulla nostra vita, decidiamo sul nostro futuro eterno. Siamo posti
davanti a scelte serie. Non è possibile tergiversare. Sempre, ma
particolarmente in questo tempo quaresimale, dobbiamo chiederci con
sincerità se accettiamo veramente Gesù, luce, salvezza, o se lo
sfuggiamo perché le nostre “opere sono malvagie”.
2. Più volgiamo il nostro sguardo a Cristo innalzato sulla croce, più
sentiremo il desiderio di essere afferrati, pervasi dall’amore di Dio e
vivremo l’impegno di evitare le tenebre del peccato. Più fisseremo i
nostri occhi, il nostro cuore sul Crocifisso, più comprenderemo il vero
senso della vita e dell’eternità, più saremo capaci di “operare la
verità”, di mantenere la nostra fedeltà all’amore di Dio.
3. Nel cammino quaresimale, tempo favorevole per una autentica revisione
della nostra vita, facciamoci accompagnare e guidare da Maria, Madre di
Gesù e Madre nostra. Il Figlio di Dio ha potuto essere innalzato sulla
croce perché c'è stato il "si" di Maria, nell'Annunziazione, al piano
divino, perché da lei ha ricevuto il corpo, che sarà consegnato alla
morte sulla croce.
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