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In quel tempo Gesù disse ai suoi
discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza
stancarsi: “C’era in una città un giudice, che non temeva Dio e non
aveva riguardo per nessuno. In quella città c’era anche una vedova, che
andava da lui e gli diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario.
Per un certo tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: Anche se non
temo Dio e non ho rispetto di nessuno, poiché questa vedova è così
molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a
importunarmi”.
E il Signore soggiunse: “Avete udito ciò che dice il giudice disonesto.
E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso
di lui? Li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia
prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla
terra?”.

COMMENTO
La parabola del Vangelo odierno mette in evidenza il potere che ha
la preghiera e precisa che essa non è facoltativa. Il verbo “deomai” (=
“bisogna”) mette in risalto la sua obbligatorietà. Non solo; nella
parabola è sottolineato anche che occorre pregare “sempre”, con
perseveranza, senza perdere la fiducia, anche se ci trova nelle
difficoltà più gravi. Vi è infatti il pericolo che ci si stanchi, che ci
si scoraggi, atteso il fatto che Dio è un interlocutore che non si vede
e quindi si può avere l’impressione che egli non ascolti.
La parabola ha due protagonisti appartenenti a due classi sociali
differenti. L’uno, il giudice, appartiene ad una classe influente ed ha
compiti ben precisi. E’ suo dovere giudicare con giuste sentenze (Dt
16,18), e giudicare non per gli uomini, ma per il Signore “ il quale
sarà con lui quando pronuncia la sentenza”. Dovrà agire “con il timore
del Signore, e fare attenzione che nel Signore nostro Dio non c’è
nessuna iniquità; egli non ha preferenze e non accetta doni” ( 2 Cr
19,5-6). Il giudice, in un certo senso, è considerato come
rappresentante di Dio.
L’altro protagonista è una vedova, prototipo della categoria più
indifesa. Nella Bibbia le vedove e gli orfani appartengono alle
categorie più deboli.La legge prescrive di proteggere la vedova e di
rispettare i suoi diritti (cf.Es 22,21-22; Dt 14,28-29). I profeti
esortano a renderle giustizia, altrimenti Dio stesso se ne farebbe
carico ( Cf. Ger 49,11).
In questo contesto si comprende bene il comportamento del giudice che è
connotato come “iniquo”, proprio perché esercita la sua professione
prescindendo dai suoi obblighi verso Dio e verso gli uomini. La sua
decisione di intervenire nei confronti della vedova non è determinata
dal richiamo ai suoi doveri, ma da una convenienza: vuole togliersi
dattorno una donna che con la sua insistenza gli arreca molestia, noia.
Il suo soliloquio svela i suoi egoistici sentimenti.
Gesù fa l’applicazione della parabola tramite il contrasto tra l’agire
del giudice iniquo
e l’agire di Dio: “Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. E Dio
non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di
lui?Li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia
prontamente”. In queste parole di Gesù viene espresso il pensiero
fondamentale della parabola. Se un giudice disonesto per motivi
egoistici acconsente alle richieste insistenti di una vedova, quanto più
Dio, che è padre buono, ascolterà le grida di implorazione dei suoi
eletti.
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